Cous Cous Zafferano, Pomodori Secchi e Fave

25.5.14

Lo zafferano è per me un qualcosa di magico, delicato, bellissimo. 

Non ne avevo mai sentito l'odore finchè non ho iniziato l'università a L'Aquila. Non mi davo pace sul perchè mia madre non l'avesse mai usato. Poi una volta siamo stati in montagna e ho raccolto un fiorellino bellissimo su un altopiano e i miei amici aquilani tutti lì a sgridarmi. Non sapevo fosse zafferano. Quel fiore ce l'ho ancora schiacciato in chissà quale libro della mia libreria, un giorno lo ritroverò e mi ricorderò nitidamente di quell'altopiano. 

Per il momento mi limito a viaggiare con un'ampollina di pistilli di zafferano in valigia ovunque vada, anche qui ad Abu Dhabi. Rigorosamente aquilano. Anche se da queste parti è diffusissimo quello iraniano, e il tizio al mercato delle spezie che tentava di vendermi lo zafferano iraniano quasi non ci credeva quando gli ho detto che ce l'abbiamo anche noi in Italia! 

La mia cara nanny Aruna mi dice che in India alle donne in gravidanza viene dato da bere latte con zafferano affinche' il piccolo nascituro sia il piu bianco possibile .

Il giorno del mio primo Eid in terra Emiratina una deliziosa coppia locale ci ha offerto un brunch e da bere latte con zafferano, delizioso!





Cous Cous Zafferano, Pomodori Secchi e Fave

Ingredienti:

(per 2 persone)

1 bicchiere di cous cous precotto

una manciata di pomodori secchi

una cucchiaiata di fave sbucciate e appena sbollentate

qualche filetto di alice

qualche pistillo di zafferano

una cipolla di Tropea

olio sale q.b

 

Procedimento. Sbollentate le fave fresche private della buccia esterna più spessa per qualche minuto, affinchè rimangano belle croccanti. Nel frattempo fate rinvenire i pomodori secchi nell'acqua tiepida per qualche decina di minuti e poi sminuzzateli. 

Fate lo stesso con lo zafferano:fatelo rinvenire in un bicchiere di acqua tiepida per 10 minuti.

In padella fate soffriggere un pò di cipolla nell'olio e quando sarà ben dorata e croccante aggiungete le alici, i pomodori secchi e quando il tutto sarà pronto aggiungete anche le fave.

In un piatto piuttosto cupo mettete il bicchiere di cous cous e versateci su il bicchiere d'acqua con lo zafferano riscaldata. Coprite per 5 minuti e fate gonfiare. Sgranate con una forchetta.

A questo punto potete mischiare il tutto in padella con il condimento o servire separatamente: il condimento al centro e il cous cous tutt'intorno. Enjoy!

 



 
Lo za’hafaran, come lo chiamano gli arabi , è originario dell’Asia Minore. Plinio scrive che i Fenici lo usavano non per usi culinari ma esclusivamente per tingere stoffe; le tuniche dello splendido colore giallo vivo piacevano molto alle eleganti signore d’allora, e i Fenici trasportavano le stoffe dal porto di Tiro in tutto il Mediterraneo. 

 Furono poi gli arabi che fecero conoscere lo zafferano quasi ovunque; dalla Spagna, dove è indispensabile nella paella, all’Indonesia, basilare nel curry. In Italia era già conosciuto – e importato - ma solo come polvere medicinale; usato tutt’ora a piccole dosi è sedativo, antispastico, eupeptico, mentre a dosi più elevate è invece eccitante: non per nulla i Romani lo utilizzavano come afrodisiaco. Però già allora era una materia preziosa, tanto che le nostre Repubbliche fondarono i Banchi dello Zafferano, sorta di borse commerciali dove venivano contrattate le partite destinate alle grandi corti di Firenze, Venezia, Milano e Genova. 

 Forse non tutti sanno che fu solo alla fine del 1300 che il fiore venne ufficialmente introdotto in Italia come coltivazione da un padre domenicano chiamato Domenico Santucci. Egli era nato a Navelli, in provincia dell’Aquila, e visse a lungo in Spagna, al servizio del Tribunale dell’Inquisizione. Tornato in Abruzzo, provò a piantare in un terreno di sua proprietà alcuni bulbi di croco spagnolo che attecchirono meravigliosamente e da quel momento divennero una delle maggiori coltivazioni della zona, tanto che la storia d’Abruzzo è quasi inscindibile da quella dello zafferano. 

 A Civitaretenga, ad esempio, esiste la Chiesa della Madonna dell’Arco che, secondo la leggenda, fu costruita nel luogo dove sorgeva la stalla di una taverna: là dove oggi c’è l’altare, allora c’era la mangiatoia. Nella taverna venne a soggiornare un pittore il quale però, non avendo una lira, fu dal taverniere messo a dormire – appunto – nella mangiatoia della stalla. Quella notte al pittore apparve in sogno la Madonna che gli chiese un ritratto; era così bella che l’uomo avrebbe voluto ritrarla immediatamente, ma non aveva colori. Così usò dello zafferano trovato nella cucina della taverna, e la dipinse sul muro contro cui era poggiata la mangiatoia; così che nacque il culto della Vergine dello Zafferano, immagine miracolosa attorno alla quale gli abitanti del paese eressero la chiesa. [fonte]

 

 


 

 Lo zafferano è sempre stato usato come colore per la pittura, aggiunto in abbondanza alle paste di vetro delle vetrofanie o ai colori usati negli affreschi; e proprio attorno a due pittori ruotano le due leggende che spiegano la presenza dello zafferano a Milano, patria del risotto giallo. 

 La prima narra di un cuoco abruzzese lì emigrato in periodo di carestia; aveva aperto una piccola osteria, ma poiché non aveva burro, carne, verdura, uova, nulla insomma, era costretto a servire ai suoi clienti solo grandi piatti d’insipido e triste riso lesso. Un bel giorno ebbe l’idea di aggiungervi un po’ di polvere di zafferano, ricevuto in pagamento da un pittore squattrinato che era venuto a mangiare da lui; i clienti ne furono entusiasti, e il cuoco divenne ricco e famoso.

 L’altra leggenda, più conosciuta, racconta di un garzone vetraio che lavorava alla vetrata di Sant’Elena nella Fabbrica del Duomo. Era bravissimo nel mescolare i colori, rendendoli dorati con l’aggiunta di zafferano: e proprio Zafferano l’aveva soprannominato il suo capo, Valerio di Fiandra. Un giorno la figlia di Valerio si sposò e il povero ragazzo cadde in crisi perché avrebbe voluto farle un dono bellissimo, ma non aveva una lira; così, durante il banchetto, si presentò reggendo due grandi marmitte di risotto color dell’oro e profumatissimo: aveva inventato anche lui il risotto allo zafferano.[fonte]


 



Ovidio racconta che tanti ma tanti anni fa, viveva una ninfa chiamata Smilace che si era innamorata – ricambiata – di Krocus, un giovane guerriero. Ma gli Dei contrastavano questa relazione e facevano di tutto per interromperla, rendendoli ossessivi, litigiosi e infelici. Infine Krocus si suicidò, Smilace impazzì e gli Dei, stavolta pietosi, li trasformarono ambedue in piante. 


 Lei in Smilax aspera , dalle foglie a forma di cuore e i rami flessibili e spinosissimi, simbolo d’un amore tenacissimo ma esacerbato. 


 Lui in Crocus sativus, fiore viola come la passione superba (aveva osato innamorarsi d’una divinità!), ma dal cuore color del sole.  E proprio dai tre piccoli stimmi che formano il cuore d’oro del croco si ricava la preziosissima polverina chiamata zafferano. [fonte]


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